Articolo di Secondo Squizzato pubblicato da “Il quotidiano della Costiera” il 14 febbraio 2024
Da alcune settimane gli organi di informazione sono stati indotti ad occuparsi del disagio del mondo agricolo in Italia e in larga parte dell’Europa. La protesta è divenuta eclatante quando il variegato mondo degli agricoltori ha deciso di scendere in piazza contro le politiche europee e nazionali mobilitando i trattori, il simbolo dell’agricoltura estensiva ed industriale. Fra le minacce avanzate e, in qualche caso, anche ritirate di invadere luoghi simbolici come Sanremo e Roma per avere la giusta risonanza, oggi è toccato anche alla nostra provincia. File di trattori, di varia tipologia, hanno fatto la loro comparsa, piuttosto ordinata, nella città di Salerno. Il mezzo agricolo per eccellenza, agitato fuori dal contesto classico in cui è utilizzato, è divenuto il segno dell’insofferenza del comparto. Un modo vistoso per manifestare contro un assetto normativo e di scelte politiche che, a detta dei manifestanti, penalizza proprio quel segmento dell’economia che si occupa della produzione dei beni essenziali per la vita dell’uomo.
Qui scatta la riflessione e la domanda che serpeggia da alcuni giorni: e gli agricoltori della Costiera amalfitana? Hanno qualcosa da dire? Ecco la triste constatazione: anche se volessero concorrere alle manifestazioni, non si potrebbe farlo. Nessun trattore, nemmeno uno, avrebbe mai potuto provenire dal nostro territorio per dare un segnale del disagio del comparto che da molti anni riguarda la cosiddetta Divina. Si tratta dell’ulteriore indizio di una condizione di ‘minorità’ della nostra agricoltura, della estrema debolezza che si traduce finanche nell’impossibilità di manifestare con le stesse forme scelte dalla restante parte del mondo di chi coltiva la terra.
Pur consapevoli che gli agricoltori scesi in piazza sono un aggregato disomogeneo sfuggito alle tradizionali associazioni sindacali (soprattutto Coldiretti e Confagricoltura, accusate di essere disattente rispetto a certe esigenze), sfido chiunque a dire se non vi fossero buone ragioni anche per gli agricoltori del nostro territorio, per sostenere perlomeno alcune delle rivendicazioni dei manifestanti. Senza voler entrare nella complessità dei motivi di protesta, basti pensare al tema dei bassi prezzi, non remunerativi, riconosciuti a chi produce i limoni nei terrazzamenti, con le condizioni – che tutti conosciamo – in cui è del tutto assente, e non per scelta, il supporto della meccanizzazione, se si escludono i tagliaerba, le motoseghe e qualche mini carrozzetta meccanica in poche zone più fortunate. I prezzi di vendita costituiscono, come per la gran parte dell’economia agricola, una questione fondamentale anche per la limonicoltura in costiera. Lo sappiamo – ma forse valeva la pena di portarlo in piazza – che nel nostro territorio non è bastato il riconoscimento dell’IGP ad attivare tutti i meccanismi virtuosi di miglioramento della redditività delle produzioni. Tutt’ora, parlare di economia agricola dalle nostre parti è una vera forzatura, soprattutto se consideriamo la stragrande pluralità di piccoli appezzamenti, con produzioni contenute e non remunerative, oltre che la grande difficoltà nell’organizzare un sistema di offerta più razionale, utile a contrastare i meccanismi che impediscono di attribuire un giusto valore al lavoro di chi si sporca e si punge le mani tutti i giorni nei nostri limoneti. In poche parole, sono rarissimi i casi in cui si può vivere coltivando i limoni. Abbiamo l’ennesima conferma che l’agricoltura in costiera è diversa da tutte le altre, anche nella protesta. Ed è questo il momento adatto per tenerne conto: mi riferisco a proposte di provvedimenti legislativi speciali che possano valorizzare una forma di agricoltura eroica capace di contribuire all’ambiente con il contenimento del rischio idrogeologico e il mantenimento del paesaggio della costiera.